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Le immagini proposte sono un estratto di un più ampio progetto di ricerca sulle Alpi che ha come intento l’osservazione delle modificazioni ambientali del paesaggio alpestre avvenute con lo sviluppo connesso ai processi di industrializzazione del turismo e dell’espansione urbana.
In questa ristretta serie di fotografie, mi sono concentrato su quei luoghi che potremmo definire “sul margine,” tra la pianura e i territori montagnosi delle Alpi nella fascia pedemontana tra Veneto e Friuli Venezia Giulia, racchiusi ad ovest dal lago di Garda e ad est dal fiume Tagliamento.
Rispetto alle richieste del bando, mi sono fortemente interrogato su come dare una definizione di “paesaggio a rischio.” Difficile esprimere un’unica possibile interpretazione, difficile come trovare un’unica denominazione di paesaggio. Poiché il paesaggio è formato esso stesso dalla lettura del territorio e quindi da un carattere prettamente fisico ma, allo stesso tempo, anche dalla nostra selezione e giudizio di valore su di esso, quindi da un carattere che non può prescindere dal punto di vista che lo esprime in sé. Forse il paesaggio a rischio è il paesaggio incongruo, “fuori luogo”?
Diventa nuovamente importante chiedersi che cosa vogliamo intendere con il termine “incongruo” e cercare di comprendere quanto di tutto ciò intercorre con l’idea di incompatibilità ecologico-ambientale, oppure è legato principalmente ai temi della percezione del paesaggio.
Domande che portano ad altre domande…
In tutto questo la camera fotografica non può dare delle risposte, ma con essa siamo in grado di registrare le tracce che le strutture economiche, sociali e politiche depositano nell’ambiente.
Nondimeno possiamo andare oltre se pensiamo, come scrive Antonello Frongia, che “la fotografia può avere un ruolo etico e persino politico nell’imparare a vedere la potenzialità dei paesaggi minori, non monumentali, persino vernacolari.”
Queste immagini vogliono riflettere al tempo stesso sui luoghi, con lo sguardo necessario per comprendere le modificazioni del paesaggio e quindi in fondo a noi stessi, e sui modi di essere vissuto.
Documentare i luoghi dove si esercita l’esperienza, attraverso lo spazio fisico in cui la memoria si muove, diventa importante non per ri-comporre ideali ambienti felici di paesaggio pre-industriale o per poter condannare ciò che la nostra stessa società ha concepito, ma per attivare una forma di lettura in grado di assimilare i cambiamenti della città a noi contemporanea.
Solo allora e, forse solo implicitamente, potremmo comprendere il rischio del paesaggio, e porre le questioni che interessano i nostri territori contemporanei, senza cadere nell’ovvio, nel già sentito, nel facilmente intuibile.